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LA RIVINCITA DELLE CAMPAGNE

Nel 1936 (anno dell’ultimo censimento pre-bellico) l’Italia contava, su oltre 43 milioni di abitanti, circa 19,5 milioni di occupati, di cui poco più di 5 milioni erano donne. Il 48,7% degli uomini e il 51,1% delle donne era occupato direttamente nel settore agricolo e la percentuale saliva fino al 70% in regioni come la Lucania, gli Abruzzi e il Molise. Insieme all’agricoltura, allora vero e proprio settore economico primario, godevano ottima salute le altre ricchezze di un Paese che poteva sfoggiare, molto prima che nascessero le agenzie di rating, ben cinque “A”: agricoltura, appunto, e poi alimentazione, ambiente, architettura e arte, e cioè le risorse fondamentali del “Bel Paese”.

Dal 1936 ad oggi sono passati 80 anni. Tanti o pochi che siano, in questi 80 anni le risorse fondamentali d’Italia hanno subito lo stesso destino degli occupati nel settore agricolo, che nel 2016 si erano ridotti a circa il 4% del totale: sono, cioè, prossime alla minaccia o già in via di estinzione. Con la campagna, ovviamente, se ne vanno anche il territorio, l’ambiente e il paesaggio: se ancora nei primi anni Cinquanta Roma era circondata dagli stessi panorami che avevano incantato i viaggiatori del Gran Tour dal XVII secolo in poi, oggi le periferie romane – come quelle di qualunque altra città italiana – sono semplicemente avvilenti.

E come potrebbe essere diversamente, se nel Bel Paese il cemento fagocita ogni anno 100.000 ettari di territorio[1]? Di questo passo, le parole di Toro Seduto (o chiunque altro sia stato a pronunciarle) assumeranno, per l’Italia, un valore consuntivo, più che profetico: “Quando avrete abbattuto l’ultimo albero, pescato l’ultimo pesce e inquinato l’ultimo fiume, vi accorgerete che i soldi non si mangiano”.

È vero che negli ultimi anni si è assistito ad una inversione di tendenza, ad una vera e propria rivincita delle campagne, come dimostra il fatto che vanno a ruba i simboli stessi della cultura contadina e rurale. I Sassi di Matera, tanto per fare un esempio, sono oggi considerati prototipi di bio-edilizia dagli architetti giapponesi e, insieme ai trulli pugliesi, sono acquistati da facoltosi professionisti abituati agli agi condominiali, ma disposti a rinunciare a qualsiasi comodità (o quasi) pur di avere una casa di pietra.

È anche vero, però, che questa rivincita finisce per generare nuove contraddizioni tra le esigenze di salvaguardia dell’ambiente, del territorio e del paesaggio, da una parte, e il modello di sviluppo che a molti appare irrinunciabile, dall’altra: chi vuole a tutti i costi un trullo immerso tra gli ulivi, ma accanto vi costruisce una piscina, ha un’idea dell’impatto ambientale prodotto dal pozzo artesiano cui si approvvigionerà?

Resta comunque il fatto che molti si mettono in macchina e macinano chilometri per comprare olio molito a freddo, mele biologiche e polli ruspanti; che la diffusione dei “gruppi di acquisto solidale” ha fatto nascere nuove e, fino a poco tempo fa, inimmaginabili realtà imprenditoriali; che ormai l’idea di vivere in campagna non spaventa più neppure i giovani (anche perché, fatti due conti, risulta più economico che vivere in città); che alcuni pensano di illuminare o di riscaldare autonomamente la propria casa (in barba al TAP, il gasdotto trans-adriatico); che altri sognano di vivere secondo uno stile di vita slow, magari coltivando erbe medicinali nel proprio buen retiro; e che, tra i più temerari, c’è chi si è convinto (infischiandosene delle multinazionali agro-alimentari, dei circuiti della grande distribuzione, degli accordi WTO/OMC e delle norme dell’Unione europea) di poter “vivere del suo”, con un orticello, due galline e qualche albero da frutto, proprio come si faceva una volta.

E magari come faceva sua nonna.

(riproduzione vietata)

 


[1]     Cfr. le stime del WWF riportate da V. Emiliani, Cemento e paesaggio, in C. Barberis (a cura di), Ruritalia. La rivincita delle campagne, Donzelli, Roma, 2009, pag. 233 e ss. E’ interessante notare che il curatore del volume citato si preoccupa espressamente di mettere in dubbio le stime riportate dallo stesso Emiliani: cfr. pag. 258.