Cosa ci prospetta il futuro, dopo la crisi del Coronavirus? Pochi lo sanno, ancor meno lo intuiscono, ma in molti ne parlano. In attesa che qualcuno (ma chi? la scienza, la politica, il diritto, chi?) ci dia risposte e certezze, a noi non resta da fare altro che mettere per iscritto qualche parola che viene da dentro, provare a fermare sulla carta un pensiero da affidare al vento o a un piccione viaggiatore o al semplice passaparola perché arrivi lontano, il più lontano possibile.
Oggi un’intera nazione assiste inerme e quasi inconsapevole alla perdita di qualcosa di più importante del pareggio di bilancio o di qualche punto percentuale del PIL: la perdita della propria identità, qualcosa che molti ritengono arcaico e superato, da obliterare in nome del progresso e della modernità. Una perdita secca, quella della memoria ancestrale, del sapere antico, di una dimensione antropologica che rendeva l’uomo consapevole anche dell’importanza di alcune domande.
Quando non si hanno più risposte né certezze, infatti, la vita impone all’uomo domande. La domanda è sempre stata la molla più potente, il motore della responsabilità, la scintilla della costruzione, il carburante necessario per cominciare un viaggio e ricominciarlo ancora, da capo. La domanda, figlia della curiosità, genera a sua volta nuove domande e nuove curiosità in chi dubita del perché delle cose, in chi non si accontenta delle risposte “certificate” perché fornite dagli esperti. Sono domande che l’uomo ha sempre rivolto ad un’entità superiore e, quando non otteneva risposta, o non sapeva come interpretarla, si affidava alle proprie forze fisiche e mentali. Come le domande sul ciclo della vita.
Allo stesso modo, oggi, a margine della drammatica vicenda che stiamo vivendo, si impongono nuove domande. Sarà questo nuovo mondo dal presente continuo, che si affaccia su un futuro incerto senza più memoria del passato, a fornire certezze ai nostri dubbi e alle nostre speranze? L’uomo di domani, sempre più figlio della tecnologia e del mercato, sarà in grado di sviluppare quelle forme di resilienza così importanti per le generazioni passate? Certificate tutte le risposte, azzerato il contraddittorio, passate in rassegna le truppe, questa guerra al Coronavirus ci riporterà la pace di ieri o, al contrario, renderà più rigidi gli schieramenti, acuirà le guerre che già stiamo combattendo dentro e contro di noi? E la memoria del mondo che conoscevamo? A chi sarà affidato in sorte? E da chi, o da cosa, saranno soddisfatte le nostre nuove domande? Qualcuno avrà ancora la forza di rimettere in discussione risposte e certezze, varcando le soglie del meridiano zero?
Ernst Jünger diceva che là dove la macchina fa la sua apparizione, la lotta dell’uomo contro di essa appare senza speranza. La mia speranza, invece, è che una crisi improvvisa e dirompente come quella del Coronavirus serva finalmente a riscuotere la società civile dal torpore indotto dal progresso e che sia ancora possibile elaborare orientamenti politici, giuridici, bioetici in grado di assicurare il primato dell’essere umano sulla tecnologia e sul mercato.
Vincenzo Pelosi