Vai al contenuto

Il Generale, i nazi-arcobaleno e l’uranio impoverito

Premesso che ognuno è libero di pensare, di dire e di scrivere ciò che vuole – e guai per tutti se così non fosse – dovrebbe essere di palmare evidenza che dietro i problemi assillanti la società contemporanea (dai flussi migratori al gender fluid, dalla cosiddetta rivoluzione biotech al presunto cambiamento climatico, dalla transizione energetica alla guerra, ecc.) si celano logiche e interessi liberisti, globalisti e transumanisti.

E dovrebbe essere altrettanto evidente che il dibattito pilotato che ciclicamente circonda e alimenta questi problemi – per il tramite di media che amano definirsi progressisti – è semplicemente una componente della strategia volta a sdoganare le trasformazioni socio-cultural-antropologiche funzionali agli scopi delle èlites finanziarie transnazionali: quelle stesse élites che, come ormai sanno anche le pietre, possiedono e controllano i circuiti accademici, scientifici, tecnologici, produttivi, industriali, commerciali, comunicativi e politici.

Ora, il nostro Generale non poteva ignorare tutto ciò, proprio perché generale e dunque inserito ai vertici di un sistema di potere che, come tutti i sistemi del genere, è chiuso, autoreferenziale (o, se preferite, culturalmente mafioso) e soprattutto vendicativo. Ma se invece ha fatto carriera solo perché bravo e meritevole, come evidentemente è, l’ostracismo conseguente alle sue denunce in materia di rischi da uranio impoverito avrebbe dovuto far risuonare nella sua testa, già nel 2018, un campanello d’allarme: e allora la scelta di pubblicare, oggi, eresie e blasfemie potrebbe assumere altri significati.

In ogni caso, è probabile che il Generale si sia giocato ciò che restava della sua prestigiosa carriera, come si affrettano ad affermare, compiaciuti, i media più progressisti d’Italia, ossia quelli più beceri e collusi con le èlites di cui sopra: ma chissà che da questa storia non salti fuori qualcosa di diverso, e di buono.