Le economie di tutto il mondo sono state messe in ginocchio dal Covid-19: questo è il messaggio che trapela oggi dai grandi canali di informazione e l’allarmismo generato dal nuovo stato di emergenza non lascia spazio ad altre preoccupazioni o paure, a parte quella, per molti residuale, di contrarre il virus.
Eppure, sono diversi i settori che hanno visto incrementare i profitti proprio grazie allo stato di psicosi collettiva. Si pensi, ad esempio, a quello agro-alimentare: una volta fugato il timore che anche il cibo potesse veicolare il virus, niente ha fermato la corsa dei consumatori ai supermercati durante il lockdown, neppure i decreti governativi che ordinavano chiusure straordinarie e riduzioni degli orari di vendita.
Queste circostanze hanno indotto il consumatore a compiere scelte non consapevoli: non ci siamo resi conto, o almeno non subito, che molti prodotti avevano prezzi gonfiati, così come non ci siamo più soffermati a leggere le etichette di ciò che stavamo acquistando. L’importante era fare in fretta, buttare tutto nel carrello, prima che le scorte finissero (ma sarebbero finite per davvero?).
Che poi la lettura delle etichette sia di per sé sufficiente per sapere cosa mangiamo è un altro discorso: ad esempio, sono 17 anni che i consumatori italiani e europei non possono più scegliere se consumare o meno prodotti alimentari contenenti Organismi Geneticamente Modificati (OGM), visto che dal 2003 sono in vigore due regolamenti dell’Unione europea che legittimano i produttori a non dichiarare la presenza degli OGM negli alimenti (entro la cosiddetta soglia di tolleranza dello 0.9%).
Ed è significativo aggiungere che la soppressione della libertà di scelta del consumatore va al di là della presunta o reale nocività degli OGM (che incredibilmente, a distanza di anni, è ancora tutta da dimostrare sul piano scientifico): infatti, se io volessi astenermi dal consumare alimenti geneticamente modificati per ragioni culturali, politiche o finanche religiose – e non sanitarie! – non sarei comunque in grado di farlo, perché quei regolamenti europei me lo impediscono di fatto e di diritto.
Strumentali appaiono anche le affermazioni di chi sostiene che la produzione di OGM in Italia è limitata, perché, a prescindere dalla loro veridicità, i dati mostrano che ogni anno si importano grandi quantità di prodotti alimentari geneticamente modificati. Basti pensare ai mangimi destinati agli allevamenti: da questi ultimi alla nostra tavola il passo è più breve di quanto si possa immaginare.
Sono anni che il cibo industriale costituisce una fonte di rischi per la nostra salute. E sono anni che l’accresciuta consapevolezza di tali rischi da parte dei consumatori rischia di tradursi in comportamenti e scelte alimentari in grado di incrinare i profitti delle multinazionali dell’alimentazione. Ma ecco che, fortunatamente per queste ultime, scoppia l’emergenza Coronavirus e il ciclo si inverte: i consumatori, da critici, si trasformano in distratti e disposti a comprare qualsiasi cosa pur di sopravvivere fino alla grande spesa della settimana dopo.
Ecco chi sono i veri eroi della pandemia: i grandi supermercati che ci hanno impedito di morire di fame!