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Gli asintomatici del 21 giorno (e il decalogo sul Covid)

A proposito degli altalenanti e contraddittori dati sui contagi e sui decessi, dei più o meno misteriosi indici RT e RO, del confusionario cromatismo regionale (a quando le zone green?), è giocoforza ricordare la circolare adottata dalla Direzione generale della prevenzione sanitaria del Ministero della salute in data 12 ottobre 2020, secondo cui “le persone che, pur non presentando più sintomi, continuano a risultare positive al test molecolare per SARS-CoV-2, … potranno interrompere l’isolamento dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi”.

È ovvio che questa misura è stata concepita prioritariamente per contenere i costi lavorativi e sanitari del Covid. Ma resta il fatto che io, negativo, a distanza di mesi dall’inizio di tutta questa vicenda ancora non posso lasciare il mio comune di residenza senza espormi al rischio di sanzioni pecuniarie; che i ristoratori sono condannati alla chiusura, e se scendono in piazza per chiedere di riprendere a lavorare vengono immediatamente arruolati dai media nelle file dei negazionisti e dei complottisti; e che, viceversa, i positivi asintomatici – la cui contagiosità è definita accettabile da qualche scienziato da salotto televisivo – se ne possono andare tranquillamente a spasso per le città e le campagne. Con buona pace del tanto strombazzato principio di precauzione (e dei ristoratori, destinati ad essere soppiantati dalle multinazionali del fast-food).

Cose da pazzi, vero? Del resto, stiamo parlando dello stesso Ministero della salute che, all’inizio della pandemia, aveva pubblicato un decalogo di misure igienico-sanitarie talmente elementari da risultare, per molti, ridicole e scontate (lavati spesso le mani, non toccarti gli occhi con le mani sporche, copriti la bocca quando starnutisci, pulisci dove tocchi, ecc.), tra le quali, però, ne spiccava una decisamente singolare: “I prodotti MADE IN CINA e i pacchi ricevuti dalla Cina non sono pericolosi”.

Ma come? Ancora oggi non disponiamo di evidenze scientifiche che ci dicano esattamente per quanto tempo il virus permane sulle diverse superfici, e più di un anno fa il Ministero della salute si preoccupava di rassicurarci sulla presunta salubrità di prodotti – e imballaggi – provenienti da un’area, all’epoca, ad alto rischio di contagio? Alla faccia della precauzione!

È proprio il caso di dire che più della salute poté il commercio mondiale. E quindi non c’è da stupirsi che una misura di chiara ispirazione liberista faccia la sua comparsa in un decalogo a finalità igienico-sanitaria. Per tacere del fatto che qualche malizioso, come il sottoscritto, potrebbe sospettare che l’intero decalogo sia stato concepito al solo scopo di dissimulare, tra tante misure di rara ingenuità, l’unica realmente importante: e cioè quella finalizzata a non compromettere – in un momento di panico collettivo – gli scambi con un partner commerciale così ingombrante come la Cina.

Fortuna che quel decalogo è stato adottato dal Ministero della salute: pensate se l’avesse adottato il Ministero del commercio con l’estero…