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ERA UNA CASA MOLTO CARINA

Sfreccio sull’A1 in direzione Nord e vedo con la coda dell’occhio, più o meno all’altezza di Fiano, sulla sinistra, una gruppo di ville recenti (come le chiamerei io) che fanno capolino sul fianco della collina, a un tiro di schioppo dall’autostrada e appena velate da un cortina di robinie o forse, peggio ancora, di quegli orrendi ailanti originari della Cina.

Immediatamente, neanche lo starter avesse sparato un colpo di pistola, in macchina si apre il dibattito sulla casa eco-sostenibile (come la chiamano i miei giovani passeggeri), ovvero a impatto-zero, “green-house” e chi più ne ha più ne metta.

Mentre in macchina si accapigliano, mi limito ad ascoltare le castronerie dette da chi è nato, cresciuto e vissuto in un appartamento di città e quindi non ha, né può avere, la minima idea di cosa sia una casa eco-sostenibile e, soprattutto, auto-sufficiente. Come erano, per intenderci, le case rurali costruite in Italia fino al secondo dopoguerra, che, oltre a disporre di un orto e di animali da cortile (e ad essere quindi autonome sul piano alimentare), erano concepite e realizzate secondo i seguenti canoni costruttivi:

– in primo luogo erano fatte di pietra e malte naturali;

– in secondo luogo erano esposte a Est, ciò che permetteva di avere luce e calore gratis quando più era necessario, e cioè la mattina;

– in terzo luogo erano dotate di cisterne per la raccolta dell’acqua piovana, cisterne che, periodicamente manutenute, assicuravano gratis acqua potabile tutto l’anno (alle persone e agli animali);

– in quarto luogo disponevano o di focolari in muratura o di quella geniale invenzione che era la “cucina economica” (di ghisa o di lamiera), che servivano non solo e logicamente per cucinare, ma anche per:

a) contribuire, insieme a bracieri, stufe e camini, al riscaldamento della casa e in particolare della cucina, spazio primario del modello domestico di allora;

b) conservare e scaldare le vivande, grazie ad aperture poste ad altezze, e quindi a temperature, diverse;

c) fornire acqua calda, grazie alla caldaia inserita nella struttura;

d) umidificare gli ambienti, grazie alla stessa caldaia;

e) asciugare i panni, mediante lo stenditoio costituito da una raggiera di bacchette di metallo fissata intorno alla ciminiera;

f) custodire le braci con cui scaldare il letto (vi ricordate “il prete”?), riempire il ferro da stiro e ravvivare il fuoco del giorno dopo;

g) eliminare i (pochissimi) rifiuti domestici, tenuto conto che quelli organici finivano nel terreno, che il vetro si riutilizzava accuratamente e che la plastica, semplicemente, non esisteva;

h) produrre la cenere destinata a fabbricare il sapone e a fertilizzare il terreno;

i) prevedere, addirittura, il tempo meteorologico, interpretando le variazioni del tiraggio del fuoco e del fumo.

Per assicurarsi le comodità descritte finora, tutto quello che gli abitanti delle case rurali di una volta dovevano procurarsi era un po’ di legna, che veniva sapientemente selezionata in base ai diversi usi cui era destinata.

Certo, in quelle case l’elettricità non c’era, ma questo, in un società prevalentemente fondata sul lavoro agricolo e in un’epoca in cui gli elettrodomestici cominciavano appena ad affacciarsi sul mercato, voleva dire essenzialmente:

1) andare a letto con le galline o, in alternativa, utilizzare lanterne di vario tipo per illuminare gli ambienti domestici;

2) consumare più o meno per intero quanto veniva cucinato giornalmente, perché le ghiacciaie di allora permettevano spazi e tempi di conservazione ridotti rispetto ai frigoriferi di oggi, con il vantaggio di azzerare gli sprechi alimentari;

3) lavare le stoviglie e i panni a mano, come qualcuno fa ancora oggi, magari per ragioni etiche.

Mentre ripenso a tutto ciò, immagino il grado di “eco-sostenibilità” di ville fatte di cemento e dotate non solo e ovviamente di moderne e igieniche condotte fognarie, ma anche di elettrodotti, metanodotti e cavidotti vari in grado di assicurare la “sostenibilità” di una miriade di gadgets elettronici sempre più affamati di (costosa) energia elettrica, che i miei passeggeri, già annoiati dall’argomento “green” e saltabeccando tra un whatsapp e l’altro, confondono con il progresso.

(riproduzione vietata)