Stuprano il paesaggio (che è tutelato anche dalla Costituzione), alterano la morfologia del territorio, minacciano la sopravvivenza degli ultimi rapaci diurni e notturni e costano un sacco di soldi allo Stato e quindi al contribuente: ma molti sono felici di vedersele intorno, bersagliati e confusi come sono da mille e uno messaggi diversi in materia di energia pulita, di sostenibilità e di green economy.
Il riferimento è, ovviamente, alle pale eoliche, che negli ultimi anni sono cresciute come funghi in giro per il Paese e che, a mio parere, sono più brutte di un ecomostro, con la differenza che questi ultimi (ogni tanto) vengono abbattuti, mentre le pale eoliche sono intoccabili, perché circondate – oltreché dagli interessi della criminalità organizzata – da un’aura di santità benedetta dal Protocollo di Kyoto e dall’Unione europea. Il che è tutto dire.
Certo, è difficile bocciare l’eolico quando da anni si critica il petrolio; ma è altrettanto difficile credere che non esistano, oggi, tecnologie in grado di produrre energia pulita con un impatto ambientale minore di quello prodotto dalle pale eoliche.
E c’è di più. Tanto per cominciare: il vento, come l’acqua, non è una risorsa naturale? E quindi non è un bene comune? E quindi il suo eventuale sfruttamento non dovrebbe essere condotto nell’interesse della collettività, invece che essere demandato alla gestione di società private che gestiscono un giro di affari multimiliardario? E poi: l’installazione di questi moderni mostri di 25, 70 e 100 metri ha mai scontato un confronto preliminare tra le amministrazioni locali, i gestori e le comunità interessate? In altri termini, se qualcuno avesse interesse a impiantare una torre alta come un grattacielo di 30 piani nella campagna davanti o dietro casa vostra, ma si disinteressasse completamente del vostro parere, voi come ci restereste? E ancora: perché, pur in assenza di qualsivoglia consultazione pubblica, e in presenza di ritorni economici a beneficio quasi esclusivo di soggetti privati, i cittadini italiani sono chiamati a contribuire allo sviluppo di questa fonte energetica pagando un “incentivo” in bolletta? E infine: i terreni dove le pale sono installate manterranno eventuali vincoli rurali, paesaggistici e urbanistici o li perderanno definitivamente per diventare tout court edificabili?
Qualcuno potrebbe obiettare che i cosiddetti “parchi eolici” (che bella espressione green, non è vero?) costituiscono il prezzo da pagare per sostenere uno stile di vita fondato sui tanti gadgets offerti dal progresso tecnologico, cui molti non sanno o non vogliono rinunciare; ma resta il fatto che tutti quelli che vivono felicemente senza l’auto elettrica, il robot aspirapolvere, l’iPhone, l’iPad, l’iPod e l’iWatch vedono in questa obiezione nient’altro che la foglia di fico che nasconde una spirale consumistica viziosa e autoreferenziale, in cui a rimetterci è sempre il paesaggio, il territorio, l’agricoltura, l’ambiente e, in ultima analisi, la salute dei cittadini.
Come bilanciare queste opposte visioni? Perché, se il diritto è chiamato a contemperare gli interessi potenzialmente confligenti di una determinata comunità, su temi come le pale eoliche (ma le stesse conclusioni valgono ovviamente per la TAP e la TAV) gli interessi legati all’economia e al mercato prevalgono sempre sugli interessi legati all’ambiente e alla salute? E la politica, da che parte sta?
Ma mi rendo conto che per oggi ci siamo fatti troppe domande; è meglio andare a fare due passi e prendere una boccata d’aria fresca, finché è gratis.
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