Allo scopo di ridurre l’inquinamento da azoto, il governo olandese sta decidendo se spingere più o meno gentilmente le aziende zootecniche a chiudere i battenti, agitando da una parte il bastone dell’esproprio e dall’altra la carota dei super-indennizzi (fino al 120% del valore delle aziende, ma solo per quelle che si decideranno a cedere l’attività entro il 2024).
È ovvio che il problema dell’inquinamento va risolto. Ma la soluzione indicata appare controversa e suscita molte perplessità. Ad esempio: cosa farà lo Stato con le aziende e gli animali espropriati? Dove saranno allevati i bovini la cui carne sarà immessa sul mercato olandese? E, qualora il problema dell’inquinamento da azoto fosse affrontato in modo analogo anche in altri Paesi, come è assai probabile, in quale Shangri-La sarà prodotta la carne che un giorno tutti compreremo al supermercato?
Quest’ultima domanda, in particolare, riporta a una problematica ancora più controversa, quella della transizione alimentare: meglio un hamburger sintetico dagli effetti sconosciuti sulla fisiologia umana, ma fabbricato in un asettico laboratorio di ricerca, oppure una gustosa fiorentina al sangue che si è lasciata alle spalle una traccia di azoto?
Domande complesse che richiedono risposte complesse, meritevoli di approfondimenti in prima serata TV.
E forse è proprio l’assenza di mordente televisivo a rendere stucchevole, agli occhi di molti, la possibilità di intervenire mediante strumenti di tipo culturale sull’etica degli allevatori, al fine di indirizzare la zootecnia verso modelli più sostenibili. Certamente non sarebbe facile, ma sarebbe un primo passo nella giusta direzione.